Ucraina: dove la guerra divora la terra

approfondimento


Articolo tratto dal N. 33 di Troviamo pace Immagine copertina della newsletter

Chernobyl, la terra che non dimentica

Il vento che ha spazzato via ogni frutto dalla terra intorno alla centrale di Chernobyl, contaminandola per sempre con le sue radiazioni, e il fuoco che ha arso ogni albero, devastato raccolti, non erano soltanto eventi catastrofici conseguenti allo scoppio del reattore numero quattro della centrale nucleare. Erano un presagio di futuro. Oggi quella terra, rivestitasi di una foresta aggressiva e caparbia, è solo l’immagine di ciò che è stato un tempo.  In un eterno memento per esseri umani dalla memoria corta, come se averla resa sterile non avesse insegnato proprio nulla, quella terra è oggi circondata da migliaia e migliaia di altri ettari ormai diventati deserto. Terra: tra le matrici naturali, è l’unica che indossa il nome del nostro pianeta. È tutt’uno con esso e quindi se perdiamo la terra, finisce tutto. Quando la guerra è tornata nel cuore dell’Europa, in Ucraina, dopo soli due giorni le forze russe hanno preso possesso proprio di Chernobyl e di Pripyat, la città fantasma che era stata costruita per ospitare i lavoratori della centrale e le loro famiglie. I resti della centrale sono stati resi nuovamente vulnerabili, e questa volta la forza distruttiva della guerra ha consumato anche tutta la terra intorno, per chilometri. La distruzione bellica, quando arriva, mangia fiumi, foreste, tundre e pianure. I metalli pesanti frutto delle bombe e dei missili e dell’esplosione di edifici e infrastrutture, polverizzati nella dimensione di nanoparticelle, si innestano nella vegetazione superstite, si tuffano nell’acqua, finiscono nelle falde acquifere, nel sottosuolo e contaminano la terra. 

Foresta desertica di Chernobyl
Ciò che rimane di una foresta di Chernobyl

L’ecocidio 

Non è solo l’uomo che va in guerra: ci va tutto l’ambiente.  Avendo Chernobyl come bagaglio, gli ucraini sono stati tra i primi a interrogarsi su come punire i responsabili di un disastro ambientale dalle conseguenze vaste, gravi e durevoli nel tempo, e hanno inserito il reato di ecocidio (l’uccisione della casa comune) nel proprio codice. Il paradosso è che anche la Russia ha fatto lo stesso. Il tributo della Natura alla guerra una volta era incalcolabile ma in Ucraina il ministero dell’Ambiente fin da subito ha organizzato un ufficio per misurare, identificare, definire, grazie anche a una linea diretta con i cittadini chiamati a denunciare l’ecocidio russo. Solo nei primi due anni di combattimenti l’Ucraina ha dovuto assorbire o neutralizzare l’impatto di 320.104 ordigni esplosivi. Centosessanta riserve naturali, 16 zone umide e due biosfere sono a rischio di distruzione. Due milioni di ettari boschivi sono cenere. La distruzione della diga Nova Kakhovka ha reso inutilizzabile circa un milione di ettari agricoli a causa delle acque contaminate da sostanze tossiche provenienti da industrie e reflui. Seicento specie di animali e 880 specie di piante sono a rischio di estinzione. Oggi, un terzo della terra ucraina è incolto o non disponibile per l’agricoltura; fino al 40% dei terreni coltivabili non è disponibile per la coltivazione. Difficile stabilire quanto questi numeri siano approssimativi, ma sicuramente è il più grande database di danni ambientali in tempo di guerra mai realizzato. 

L’Ucraina oggi

Ha anche una procura specializzata in crimini ambientali, con una squadra di 22 investigatori e ramificazioni locali: un’istituzione quasi inedita ovunque. Nei primi 375 giorni i danni ammontavano a 2,3 trilioni di hryvnie, la moneta ucraina: sono2,3 miliardi di miliardi di euro di danni. Un problema che dovrebbe riguardare tutta l’Europa, se non altro per motivi opportunistici: 20 delle trenta materie critiche di cui la comunità europea ha bisogno per la transizione energetica si trovano in questa terra spianata da bombe e missili. Il governo ha creato una struttura di intelligence collettiva costituita da diciottomila attivisti, ambientalisti, scienziati che camminano, guardano, analizzano e segnano le osservazioni su delle app di rilevamento dei danni ambientali. Ci vuole coraggio, perché i campioni vengono prelevati dai crateri delle bombe, poi inviati a un laboratorio per verificare la presenza di sostanze chimiche tossiche, come il fosforo bianco. È l’estremo utilizzo di quello che ormai dappertutto viene chiamato citizen science 

Un grattacelo di kiev
Foto delle macerie di un grattacelo di Kiev

Non solo le bombe, la guerra devasta anche l’ambiente 

Sulla base dei dati dell’ “Environmental People Law”, così si chiama la struttura investigativa del governo, si stanno imbastendo cause legali contro la Russia nei tribunali ucraini in base alla propria legge sull’ecocidio (15 i procedimenti aperti) e presso la Corte penale internazionale, partendo dall’articolo otto dello Statuto di Roma, e dalla Convenzione di Ginevra che proibisce “metodi o mezzi di guerra che sono destinati a causare o si può prevedere che causino danni diffusi, durevoli e gravi all’ambiente naturale”. Ma non basta. Richard J. Rogers è un avvocato di fama internazionale, esercita in California, Inghilterra, Scozia e Cambogia. Consulente di Ong, governi e istituzioni intergovernative, si attiva ovunque ci sia una guerra e violazione dei diritti umani e ambientali. Dal Bangladesh alla Libia al Burundi, la sua competenza attraversa Europa, Asia, Africa. «Casi come quello dell’Ucraina, così come la Sierra Leone, per fare un esempio, non arrivano mai alla Corte penale internazionale. Non ci arrivano non perché non ci siano le prove ma perché non c’è una legge che possiamo usare e non ci sono precedenti. La legge ucraina è difficile da applicare nel contesto internazionale. Per questo ne serve una internazionale sull’ecocidio e occorre che la Corte penale internazionale lo aggiunga agli altri quattro crimini dei quali è investita. Non farà la differenza in Ucraina perché mai potrà essere un reato retroattivo, ma per le guerre del futuro sì. Sarebbe fantastico che proprio l’Ucraina si facesse portatrice per la promozione del quinto crimine internazionale e aiutasse altri Stati nel futuro». Quattro Stati, Isole Vanuatu, Fiji, Samoa e Congo, hanno formalmente chiesto alla Corte di aprire questo dossier e iniziare l’iter. L’Europa batta un colpo. 

Consiglio di lettura

Uccidere la natura
A cura di Stefania Divertito

In Colombia, il fiume Atrato, avvelenato dalle attività minerarie illegali, è stato riconosciuto come «soggetto di diritti», un’entità che richiede tutele giuridiche, grazie alla lotta delle comunità indigene che dipendono dalle sue acque per la sopravvivenza. In Nuova Zelanda, il fiume Whanganui, considerato sacro dai maori, ha ottenuto la stessa dignità giuridica, diventando una delle prime realtà naturali al mondo a ricevere protezione legale. Il reato internazionale di ecocidio può quindi essere uno strumento per ristabilire giustizia.
Uccidere la Natura è un racconto che sfida l’idea di progresso basata sullo sfruttamento illimitato delle risorse. Riconoscere la Natura come un essere vivente implica riscrivere il nostro rapporto con essa, immaginando un futuro in cui la Terra non conosca più vittime silenziose, ma diventi un luogo in cui vita e giustizia possano finalmente coincidere.

"Uccidere la natura" libro di Stefania Divertito

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