Trump scatenato: l’uomo che non ride

approfondimento


Articolo tratto dal N. 36 di Di meme in peggio Immagine copertina della newsletter

Pubblichiamo un estratto (pag. 107-109) del libro “Joker scatenato” (Gramma, Feltrinelli, 2025) di Guido Vitiello, per gentile concessione dell’autore e dell’Editore.

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Il carnevale politico

Il 17 gennaio del 2017, tre giorni prima che Donald Trump giuri come quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, David Brooks, una delle firme più prestigiose del “New York Times”, scrive un editoriale intitolato The Lord of Misrule. Dopo una vivace premessa storica sulla figura archetipica del fool, sulla cultura carnevalesca medievale e sulle ingiustizie sociali a cui l’antica festa del mondo alla rovescia dava temporaneo e illusorio sollievo, Brooks arriva al punto: l’America di oggi è attraversata da tensioni sociali non troppo diverse da quelle che un tempo alimentavano lo sfrenamento di certe feste in odore di sommossa, e conseguentemente ha appena incoronato un Re del Carnevale. “Donald Trump esiste su due piani: il piano presidenziale e il piano del fool. Sull’uno prende decisioni personali e di altro tipo. Sull’altro, twitta. (Onestamente non so quale piano sia per lui il più importante.)” Nei suoi tweet Brooks vede un distillato di spirito carnevalesco: “Si prende gioco di un’icona della cultura ufficiale e la getta nel fango. L’importante non è il messaggio del tweet. Si tratta di rovesciare simbolicamente la gerarchia, di opporsi”. Il problema del carnevale politico che ha incoronato Trump, avverte Brooks, è che “c’è un oceano di sadismo in agguato appena sotto la superficie”. O anche: Joker si sta scatenando.

Trump durante la sua campagna elettorale in Arizona quando decide di improvvisare un balletto

Trump come Ubu

Un anno più tardi, quando Trump definisce Haiti, El Salvador e alcuni paesi africani shithole countries, il filosofo Bernard-Henri Lévy è colto da reminiscenza improvvisa: “Per un orecchio francese, è la prima battuta della prima scena della commedia che, poco più di un secolo fa, ha fissato i canoni del grottesco in politica.È il fragoroso merdre, la battuta iniziale del famoso Padre Ubu inventato nel 1888 al liceo di Rennes da un genio quindicenne del burlesco e del massacro degli idoli chiamato Alfred Jarry”. L’identità gli pare perfetta: “Trump è Ubu, ecco come stanno le cose – ma, questa volta, nel mondo reale. L’irascibile, scatologico, cospiratore e tirannico Ubu che Alfred Jarry inventò, senza che nessuno lo prendesse sul serio, comincia a esistere ed è trumpiano”. Tutta l’ascesa di Donald Trump – così inverosimile, e tutto sommato così familiare se osservata dall’Italia – ha un andamento sinistramente parodico, fin dallo sketch del Saturday Night Live, nel 2015, in cui Trump interpretava Trump nelle vesti di presidente degli Stati Uniti, in un futuro prossimo in cui aveva già sconfitto l’Isis e fatto pagare al Messico il conto del famigerato muro di confine. Era un ultracorpo, un simulacro, una copia a grandezza naturale di se stesso, che come tutta l’arte iperrealista lascia sconcertati i visitatori delle gallerie: è vero, è finto, è al di là del vero e del finto? Si resta immobili e guardinghi, non sapendo bene su quale ripiano della mente collocarlo.

Immagine tratta dallo spettacolo teatrale “padre Ubu”

Per uscire dal disorientamento…

James Poniewozik invita a paragonare Trump a Reagan, l’altro presidente venuto dal mondo dello spettacolo: “Reagan era un attore, Trump una star dei reality”. Di conseguenza, “Reagan interpretava dei personaggi, Trump interpretava una versione amplificata di se stesso”. Reagan andava in televisione, Trump era la televisione, conclude il critico televisivo del “New York Times”. Aggiungiamo: Obama usava internet, Trump era un meme. Era insieme il sovrano e il suo doppio immateriale. Follow the money, raccomanda il grande motto del giornalismo investigativo. Ma qui faremmo meglio a dire: follow the laughter. Appena Trump lancia la sua candidatura alle presidenziali, nel 2015, si scatena contro di lui una guerra a colpi di battute: tutto, dai suoi capelli ai suoi hotel pacchiani, finisce sotto il fuoco di fila di giornalisti, politici rivali, celebrità e comici di seconda serata. Trump riesce allora a operare una magia indubbiamente astuta: associa lo scherno di cui è destinatario allo scherno di cui, a suo dire, gli Stati Uniti sono vittima nel resto del mondo. Una retorica così martellante che il “Washington Post” potrà scrivere un articolo compilativo intitolato The 100-plus times Donald Trump assured us that America is a laughingstock. I suoi comizi – fra gag improvvisate, smorfie, mossette, bronci, imitazioni e prese in giro – ricordano la routine di uno stand-up comedian più che i discorsi di un uomo politico. Crea per i suoi avversari nomignoli puerili – Crooked Hillary, Sleepy Joe – e one-line jokes da cabarettista. Fa perfino il verso dal palco a un cronista disabile. Reagisce agli sfottò dei comici attirando su di loro lo scherno degli utenti di Twitter.

Meme usato per prendersi gioco di Trump, possiamo vedere alla sinistra Kamala Harris furibonda che chiede di parlare con un manager, invece alla destra un Trump che accenna una smorfia e che lavora in una nota catena di fast food per la sua campagna elettorale

Il conduttore della risata

Lui però non ride mai. Ha scritto acutamente il politologo Patrick Giamario che Trump opera come “conduttore” di una circolazione di risate, sia nel senso che le risate lo attraversano come l’elettricità attraversa un metallo, sia nel senso che è lui a dirigerne l’orchestra: “Trump ‘conduce’ la risata in entrambi i sensi del termine: attira le risate dei suoi avversari progressisti e le dirige verso i propri sostenitori (‘ridono di noi’). Completa il circuito conducendo le risate maligne dei sostenitori contro i progressisti, che a loro volta sono motivati e incoraggiati a ridere ancora di lui. In questa economia affettiva, le risate fluiscono verso Trump, attraverso Trump e lontano da Trump, ma Trump non ride”. Saldo al centro di un traffico di risolini e sghignazzi favorevoli e ostili, la sua imperturbabilità gli consente di avere, come Joker, l’ultima risata.

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